“E’ Judo, ogni volta che aiutate quelli che disperano per la fatica”
In ogni lezione di Judo ci sono momenti veramente faticosi per tutti. I più allenati li superano senza problemi, i meno allenati, le cinture di colore e i principianti con fatica.
A causa della fatica l’attenzione a quello che si studia viene spesso meno, con il risultato che ci si trova a praticare con dei corpi vestiti di bianco vuoti al loro interno: lo “Spirito”, infatti, se ne è andato a casa. Il mio Maestro spesso ripeteva che questa situazione lo convinceva sempre di più all’esistenza degli “Spiriti”: vedeva tanti corpi da loro abbandonati e giustamente pensava che questi “Spiriti” dovessero vagare da qualche parte nell’aria.
Tutte le cinture superiori dovrebbero percepire questa situazione e aiutare i più deboli o stanchi a non perdere lo “Spirito” e a rimanere presenti con la mente durante la lezione.
Se non ci si accorge di questa situazione non è Judo perché si viene meno al principio Jitakyoei: io e gli altri in armonia per crescere e progredire tutti insieme.
Questo rapporto con il più debole è fondamentale nel Judo e nella vita. Nella pratica del Judo, durante la ginnastica, l’uchikomi, il kata o il randori, chi è più allenato deve avvertire questi momenti e infondere energia al compagno o all’intero gruppo.
Queste situazioni si verificano sempre in ogni lezione e vi permettono a vostra volta di accrescere la vostra energia spirituale donandola a chi ne ha più bisogno di voi. Questo mentalità di scambiare energia aiutando chi ne ha bisogno esiste didatticamente solo nel Judo, se inteso in modo Tradizionale, e produce un campo energetico con il vostro compagno di allenamento e con tutto il gruppo.
Questo crea un accumulo di energia positiva che aiuterà tutti a reagire alla fatica e a studiare più facilmente. In molte altre discipline potete trovare qualcosa di simile come lo spirito di gruppo, di squadra, di spogliatoio e cose simili, ma questi sono tutti finalizzati ad ottenere un risultato agonistico o sportivo e non ad insegnare attraverso una didattica specifica come aiutare il vostro prossimo e, di conseguenza, la società.
Se fate attenzione a questi momenti durante la lezione potete chiamare Judo quello che state facendo, e col tempo diventerà automatico percepire chi è al limite della fatica e aiutarlo, infondendo in lui la vostra energia attraverso la messa in pratica del principio Jitakyoei.
Sbattere a terra chi non può reagire non è Judo, fare uchikomi senza aiutare un compagno stanco o debole non è Judo, non serve a nessuno dei due: se non si interagisce energeticamente durante l’allenamento non si progredisce e il Judo non diventa quel potente mezzo – parole del prof. Jigoro Kano-mirante all’edificazione spirituale. Non ci si può allenare da soli: il Judo è stato ideato per far crescere fisicamente, moralmente e spiritualmente individuo e società. Se pensate solo a voi stessi e alla vostra tecnica dovreste anche pensare a dare un altro nome a ciò che fate perché non è il Judo inteso dal prof. Jigoro Kano.
Prossimo appuntamento:
“E’ Judo, ogni volta che riconoscete con umiltà i vostri limiti e le vostre debolezze”
Alfredo Vismara Hanshi Dai Nippon Butokukai
Complimenti. Ha espresso con grande chiarezza uno dei principi fondamentali del judo e la sua applicazione nella vita di tutti i giorni.