RANDORI nel Judo

Il Randori (Ran: confusione, Dori: controllare, fermare) troppo spesso viene confuso con Shiai (gara, combattimento).

Il Randori deve essere un esercizio creativo; il judoista deve plasmare con la sua personalità la forma tecnica che gli viene insegnata e riprodurla completamente nuova, frutto della sua creatività.

Per allenarsi a questo modo di fare è necessario avere la mente sgombra da qualsiasi tensione che non sia la ricerca dell’Ippon.

La paura di cadere o di brutte figure, le tattiche ostinate con le prese per ostacolare il compagno, gli atteggiamenti difensivi spinti a condizionare perfino la maniera di combattere vanno eliminati dal Randori; tutto ciò è regresso.

La pratica del Randori va affrontata come qualcosa che, pur se a volte è molto faticoso, deve infondere gioia e soddisfazione in chi si esercita.

La mente deve essere sgombra, tesa esclusivamente alla ricerca dell’Ippon, il migliore impiego dell’energia e la sincerità del vostro cuore pari alla generosità d’azione del vostro spirito, amicizia e mutuo benessere.

SHIAI nel Judo

Le gare, i combattimenti sono una tappa molto importante nella formazione di un judoista.

C’è un’età in cui l’uomo ha necessità di combattere e di confrontare se stesso con altri, un’età in cui si vuole verificare tecnicamente e agonisticamente. Ma maturando nella pratica si comprende che lo Shiai è molto di più.

È combattere vincendo se stessi, imparando a osservare le emozioni, senza temere ciò che ci aspetta, non desiderando a tutti i costi la vittoria né temendo la sconfitta. È necessario vedere la realtà nel momento presente e non essere con la mente in azioni passate, o impegnata a valutare azioni future.

In gara, passato e futuro sono un errore; significa che in tutti e due i casi non siete in grado di far fronte al presente al cento per cento delle possibilità. Il judoista che controlla la gara e non è controllato da essa ha vinto l’unico incontro veramente importante della sua carriera di agonista.

Vincere è bello quanto pericoloso; la vittoria non deve finalizzare a se stessa l’allenamento quotidiano, altrimenti non vincerete mai, ma sarete sempre suoi schiavi, costretti a soffrire ogni volta che non vi sarà vicina e influirà negativamente anche sulla volontà di allenarsi.

La gara va controllata, non solo nelle emozioni che nascono da voi stessi, ma anche da quelle che provengono dall’esterno. Anche l’ambiente può influenzare, non mettendovi a vostro agio al momento opportuno. Spesso ci si trova in ambienti troppo grandi e dispersivi dove la concentrazione è difficile, oppure in palestre piccole e piene di persone, dove non si può stare soli e si è sempre presi di mira da curiosi.

Sono situazioni che si verificano spesso e che vanno superate. Alle mie prime gare questi incidenti influenzavano parecchio il mio stato d’animo, creando una strana confusione che mi rompeva la concentrazione. 

Fortunatamente, quando venivo chiamato per combattere, non sentivo più nulla e riacquistavo il controllo della situazione, pensando esclusivamente all’incontro che mi attendeva.